“Sono tante e bellissime queste nostre bandiere, che oggi si alzano anche per dare solidarietà, una solidarietà concreta, alle comunità dell’Emilia Romagna e delle Marche colpite dall’alluvione. Siamo vicini alle famiglie delle vittime. Grazie da tutto il mondo del lavoro alle forze dell’ordine, agli operatori locali, alla Protezione civile, ai vigili del fuoco, per le vite che hanno soccorso e salvato, per tutto quello che hanno fatto e continuano a fare”. Lo ha detto a Napoli il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra chiudendo dal palco la terza manifestazione di Cgil Cisl Uil dove è stato osservato un minuto di silenzio in memoria delle vittime dell’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna.
“Dopo Bologna e Milano, ci ritroviamo a Napoli per far valere le nostre ragioni, per far sentire la voce delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati italiani. E ribadire che senza di noi, senza coinvolgere il popolo che qui manifesta, l’Italia non va da nessuna parte. È un popolo che ogni giorno affonda le mani nei problemi reali che conosce la fatica, che con il sudore tiene in piedi il Paese, senza clamore, con serietà, impegno, senso di responsabilità. Ne abbiamo esercitata tanta di responsabilità in questi anni. E ora ne pretendiamo altrettanta” ha sottolineato il leader Cisl.

“Chiediamo che da parte del Governo ci sia lo stesso atteggiamento, la stessa coerenza, vogliamo un confronto non in modo episodico ma costante, affidabile, solido, strutturato. Lo pretendiamo perché serve al Paese, ne hanno bisogno le famiglie, costrette a fare i conti con l’aumento dei prezzi, per i tanti pensionati stretti nella morsa della marginalità, per i precari costretti a vivere alla giornata, i migranti sfruttati e lasciati senza possibilità di una vera integrazione. Perché oltre all’urgenza del presente c’è un futuro che si sta pericolosamente restringendo.
Per le coppie che pur lavorando non guadagnano abbastanza per permettersi una casa o pensare di avere un figlio.
Lo diciamo da qui, dalla provincia più giovane d’Italia: è tempo di rispondere alla marea di giovani che stanno perdendo speranza nel domani. O a tutte le donne che non riescono ad affacciarsi sul mercato del lavoro perché accudiscono famiglia, minori, disabili. Un’attività di cura indispensabile che è anche supplenza, specie qui al Sud, di quei servizi che lo Stato dovrebbe garantire e che invece non ci sono o sono scarsi. Non c’è più tempo.
È il momento di sanare le tante disuguaglianze di genere, generazionali e territoriali come ci ricorda il nostro presidente Mattarella, diseguaglianze che creano ingiustizia, che spaccano il Paese e ne impediscono la crescita.
È il momento di creare le condizioni per fare emergere le potenzialità di un Mezzogiorno il cui riscatto è la chiave di volta della ripartenza dell’Italia, del Mediterraneo e di tutta Europa. Questa urgenza, questa consapevolezza, questa volontà, non è diffusa quanto dovrebbe essere. Problemi di metodo, certo, ma il metodo facilmente diventa sostanza. Succede se dopo aver avviato i tavoli su pensioni e sicurezza li si lascia lì, fermi, senza proseguire il confronto. Noi non ci stiamo. Succede anche quando si approvano provvedimenti importanti senza coinvolgere le parti sociali, come la Delega Fiscale o l’Autonomia differenziata, con le riforme del lavoro.
E allora lo diciamo oggi ancora una volta, da una delle capitali più importanti del nostro Sud e del Continente: non accetteremo mai riforme che indeboliscano l’unità e la coesione nazionale.

L’autonomia differenziata presuppone risorse certe per le infrastrutture, i servizi pubblici, lo sviluppo, energia, per la coesione. Non è autonomia ma è egoismo, se lascia indietro i più deboli. Noi restiamo affezionati alla nostra idea di paese: un bambino che vive in un quartiere di Palermo o Napoli deve avere le stesse opportunità di un bambino nato a Bergamo o Trento. Se mortifica i diritti di cittadinanza, se non prevede un fondo nazionale di solidarietà, se non è costruita insieme, coinvolgendo il Parlamento, tutte le Regioni e le rappresentanze sociali.
Bisogna costruire insieme. Lo abbiamo detto alla Presidente del Consiglio il giorno prima della discussione in Consiglio dei Ministri sul Decreto lavoro. Vedremo in queste ore se si è trattato di un primo passo in una rinnovata e giusta direzione o se è stato solo un caso destinato a restare isolato.
Vedremo quale sarà la disponibilità ad accogliere, in Parlamento, le nostre proposte di merito. Le parole le sappiamo apprezzare. Ma ci piacciono di più i fatti, i contenuti, i risultati. E di fatti, di cambiamenti, ne servono, sia nell’immediato, sia nella prospettiva.
Nell’immediato, il taglio del cuneo interamente a favore dei lavoratori va rafforzato, reso strutturale, collegato ad altre misure di immediata applicazione di riduzione delle tasse a lavoratori e pensionati.
Penso al bisogno di restituire a lavoratori e pensionati il reddito sottratto dal fiscal drag. E alla defiscalizzazione delle tredicesime e delle pensioni di dicembre.
L’intervento contro la povertà va consolidato: non possiamo essere gli unici in Europa a restare privi di una forma universale di sostegno. E non si può dire di voler contrastare la precarietà mentre si fa un’operazione vergognosa come quella sui voucher.
Bisogna cambiare, quindi, e collegare tutto a una visione, a una strategia complessiva di crescita che francamente non vediamo in un DEF incapace di rispondere a domande imprescindibili. Come rilanciare gli investimenti pubblici e privati, creare occupazione stabile, come dare al Paese efficienti infrastrutture materiali e sociali.
Quale politica industriale si vuole mettere in campo per adeguare i nostri settori strategici alle accelerazioni e alle transizioni in atto.
Meccanica, siderurgia, terziario avanzato, chimica, artigianato, costruzioni, informatica e TLC, agroalimentare. Ci sono decine di crisi industriali lasciate in una condizione perenne di istruttoria. Il sud si può rialzare solo con una politica industriale ed energetica.
Parliamo di sostenibilità in questo Paese, del ruolo che vogliamo dare a questo Sud nella partita strategica europea della sovranità industriale, alimentare, energetica.
Della cura dei nostri territori, che presuppone centralità e investimenti stabili anche del lavoro forestale e ambientale.
Quanti morti ancora dovremo contare prima che si sblocchi un grande piano nazionale per la gestione delle acque e contro il dissesto idrogeologico?
La parola magica è partecipazione, corresponsabilità, anche per non fallire l’appuntamento decisivo del PNRR.

Più governance partecipata, significa dare seguito alla percentuale del 40 per cento delle risorse per il Sud, vincolando gli investimenti ad aumenti occupazionali soprattutto per giovani e donne.
Significa costruire gli asili e garantire gli alloggi per gli studenti universitari.
Significa monitorare e governare insieme la messa a terra dei cantieri per accelerare investimenti e garantire sicurezza e legalità.
Per rendere possibile quello che oggi appare dolorosamente in bilico bisogna lavorare insieme, “fare sistema” anche per fronteggiare la questione salariale.
C’è bisogno di una nuova ed efficace politica dei redditi, frutto di una triangolazione tra Governo, Sindacati e Associazioni datoriali.
Chiediamo al Governo di aprire subito uno spazio di confronto stabile dove costruire uniti un Patto anti inflazione. Serve un Osservatorio per regolamentare e calmierare tariffe e prezzi energetici, per assicurare controlli a tappeto e perseguire con sanzioni pesanti i vigliacchi che continuano a speculare sulle spalle di lavoratori, anziani e famiglie.
Non è possibile che i prezzi salgano appena aumentano i costi di produzione mentre quando scendono il contrario non avviene. C’è troppa speculazione.
Vanno rinnovati tutti i contratti nazionali, pubblici e privati, ristabilito l’adeguamento pieno degli assegni pensionistici e aggiornati i meccanismi di riallineamento salariale.
E poi va ripreso il confronto sui due pilastri delle pensioni e del fisco. Il sistema previdenziale va riformato e reso flessibile, stabile, inclusivo.
Servono pensioni di garanzia per giovani, che soprattutto al Sud hanno percorsi lavorativi frammentati. e che rischiano una terza età di privazione e sofferenza.
Bisogna tendere una mano a milioni di lavoratrici facendo marcia indietro su Opzione donna e garantendo forti sconti contributivi alle madri. Che Paese è quello che costringe una donna a scegliere tra lavoro e maternità?
Bisogna estendere il perimetro dei lavori usuranti e gravosi: semplicemente indegno chiedere a una persona di piegarsi al sole dei campi, di lavorare a una pressa, di arrampicarsi su un’impalcatura quando ha 67 anni. Indegno, e disastroso in termini di sicurezza. Sono ancora tante, tantissime, le vittime. Oltre cento persone al mese escono di casa per andare a lavorare e non tornano più. E la fascia media più colpita è sempre quella che supera i 55 anni. Nessun salario paga il diritto di un datore di lavoro a disporre della vita di un lavoratore. La politica ci risparmi i pianti del giorno dopo e metta in fila le proprie responsabilità, dando attuazione alle nostre proposte unitarie.
Dobbiamo fermare questa scia di sangue. Che imbratta la coscienza del Paese, che sfregia i valori della democrazia e della Costituzione.
La stessa Costituzione che impone un fisco redistributivo e progressivo.
Anche qui la riforma va fatta insieme, alleggerendo i ceti medi e popolari del lavoro e delle pensioni. Le risorse ci sono, guardando dove si deve.
Colpendo l’evasione fiscale e contributiva, che sottrae 100 miliardi dalle tasche delle famiglie e dalle casse dello Stato. Si alzi il prelievo sulle grandi rendite immobiliari, sugli extra profitti delle multinazionali, sulla finanza speculativa. Si arrivi a un contributo di solidarietà nazionale, per sbloccare le politiche di coesione e sviluppo. I soldi, se c’è la volontà, si trovano.
Di certo c’è che bisogna concentrarli sui servizi ai cittadini, nelle assunzioni e stabilizzazioni nella scuola, negli enti locali, nella sanità, reclutando medici e infermieri, potenziando la medicina di prossimità e i servizi socio assistenziali, abbattendo le liste d’attesa, aumentando il sostegno alla autosufficienza!
E poi bisogna investire nel lavoro, dando stabilità all’occupazione, rendendo più conveniente quella a tempo indeterminato e più costoso il lavoro a termine: le imprese devono pagarlo molto di più e contribuire ad alimentare un fondo di solidarietà per le pensioni dei giovani.
C’è un Paese da unire anche dando protagonismo al lavoro nelle scelte, negli utili e nell’organizzazione aziendale costruendo partecipazione ad ogni livello.
Questa è la chiave del tempo difficile che ci è dato vivere. Su questa sfida incalziamo il Governo e i nostri interlocutori sociali, con un senso di responsabilità che non sarà mai cedevolezza. Con una determinazione che non sarà mai pregiudizio.
Il lavoro è “saper fare”, è concretezza. E noi è questo, che valuteremo: i fatti concreti.
Avendo come metro di giudizio, come bussola, il grande obiettivo di portare finalmente l’Italia sulla strada di una crescita giusta, solidale e condivisa da tutti”, ha concluso Sbarra.

 

Fonte: cisl.it